Oggi abbiamo il piacere di ospitare un grande protagonista del vino italiano, una figura di riferimento per il Piemonte e per tutto il panorama enologico nazionale. È con noi Mauro Carosso, presidente di AIS Piemonte e figura di spicco della didattica nazionale dell’Ais. E con lui, ripercorriamo sessant’anni di storia dell’Associazione Italiana Sommelier .
Partiamo subito dall’attualità: il 2025 segna un anniversario importante per AIS. Che anno sarà?
Quest’anno celebriamo i sessant’anni dalla fondazione dell’AIS, un traguardo davvero significativo. Era il 1965, quando un sommelier francese che operava in Italia – Jean Valenti – ebbe l’intuizione di creare un’associazione sul modello francese, ma calata nella realtà italiana. Erano gli anni in cui nascevano anche le prime denominazioni d’origine, e si sentiva forte la necessità di formare professionisti competenti sul vino e sul servizio in ristorazione. AIS fu la prima struttura organizzata a occuparsi di questo con rigore e visione.
Per i 60 anni ogni regione è stata invitata a organizzare eventi a partire dal 7 luglio. Noi, qui in Piemonte, abbiamo pensato a un grande appuntamento che durerà quattro giorni, verso la fine di novembre. Sarà un evento articolato: convegni, un grande banco d’assaggio con tutte le dieci delegazioni regionali coinvolte, e una selezione delle eccellenze del territorio – dall’Albese al Monferrato, dal Canavese all’Alto Piemonte, e ci sarà anche un momento più simbolico: una Messa in Duomo per ricordare i tanti sommelier che ci hanno lasciato. Poi un grande pranzo conviviale nella nostra sede, coinvolgendo alcuni chef, magari con un menù che racconti i sessant’anni di storia. E infine un momento formativo dedicato alle scuole alberghiere, e uno per i nostri relatori, previsto per il lunedì. Saranno quattro giorni molto intensi e ricchi di significato. E cercherò di mettere al servizio tutta la mia esperienza. Dal 2022 sono presidente di AIS Piemonte, ma collaboro con l’associazione da oltre trent’anni. Mi sono sempre occupato di didattica, sia a livello regionale che nazionale. Sono stato eletto consigliere nazionale nel 2014 e oggi faccio parte anche della giunta nazionale, sempre seguendo il comparto della formazione. È un impegno grande, ma lo faccio con passione.
Come vedi il futuro del vino italiano, in un contesto così complicato tra crisi economica, regolamenti europei e un certo scetticismo pubblico?
È un momento difficile, è vero. Ci sono tante pressioni, anche politiche, che a volte sembrano demonizzare il vino. Bisogna però tornare a raccontarlo per ciò che è: un prodotto culturale, un simbolo della nostra identità, non un pericolo pubblico. Il problema non è il vino, ma l’abuso. Serve educazione al consumo, non proibizionismo. E poi c’è il nodo economico: i grandi vini si vendono da soli, ma bisogna lavorare sulla fascia media, quella quotidiana. Si può fare vino ottimo anche a prezzi accessibili. La gente ama ancora bere bene, ma è attenta al portafoglio. Serve equilibrio.
C’è forse anche un eccesso di spettacolarizzazione?
Il vino non deve essere solo show o status. Non è giusto neanche buttarlo in piazza come se fosse una bibita. È come un vestito: c’è quello elegante per le grandi occasioni, ma c’è anche quello di tutti i giorni, ben fatto, comodo, dignitoso. Anche la bottiglia da 8-10 euro deve essere buona e raccontare qualcosa del territorio.
Quali sono, secondo te, i vitigni o le zone che oggi offrono ancora qualità e identità a prezzi accessibili?
Il Grignolino, che sta tornando in auge grazie a nuovi stili di vinificazione. Oppure la Pelaverga, leggera, profumata, contemporanea. Sono vini rossi agili, gastronomici, che parlano di territorio.
Tra i bianchi, l’Arneis è ormai consolidato, mentre il Timorasso ha raggiunto fama internazionale, anche se in Italia se ne beve poco. Un’altra varietà interessante è l’Erbaluce, vino fresco, versatile, con grande acidità: perfetto con la cucina del territorio.
E l’Alto Piemonte? Gattinara, Ghemme, Boca… territori straordinari ma ancora un po’ indietro rispetto ai rosso classici del Piemonte?
Sì, lì c’è tantissimo potenziale. Parliamo di vini eleganti, verticali, che hanno tutto per piacere, ma devono ancora trovare la loro collocazione commerciale più alta. Il rischio è che alcune aziende si adagino sull’idea che “tanto ora se ne parla”. Ma bisogna lavorare, comunicare meglio, creare identità forte. Anche lì ci sono grandi terroir e un legame profondo tra vino e cultura contadina.
Sessant’anni di storia non sono solo una ricorrenza, ma l’occasione per riflettere su un mondo – quello del vino – che è cambiato profondamente, aprendosi, evolvendosi, ma senza mai perdere le sue radici. Mauro Carosso ce lo ha raccontato con lucidità e passione: il vino è cultura, educazione, identità. E il Piemonte, con la sua ricchezza di territori, vitigni e figure professionali, continuerà a essere protagonista anche nel futuro.
L’appuntamento è per fine novembre a Torino, per un evento che promette di celebrare non solo una storia, ma anche una comunità fatta di produttori, sommelier, appassionati e nuove generazioni. Perché il vino – come ci ha ricordato Carosso – è davvero un abito da indossare con consapevolezza, ogni giorno.