Il mondo del vino perde una delle sue voci più autorevoli. Giuliano Noè, enologo di rara eleganza professionale e figura chiave nella rinascita della Barbera, si è spento all’età di 90 anni lasciando in eredità non solo una lunga carriera, ma soprattutto una visione: la convinzione che questo vitigno, per anni relegato al ruolo di rosso “popolare”, potesse meritare un posto tra le eccellenze italiane.
Autodisciplina, rigore e un istinto naturale per l’equilibrio hanno segnato la sua storia. Noè apparteneva a quella generazione di tecnici che non amava i riflettori — il suo nome raramente appariva sulle etichette — ma la sua impronta sì, evidente e riconoscibile in ogni cantina che ha affiancato nel corso dei decenni. Dalle colline di Monferrato alle cooperative storiche dell’Astigiano, Noè fu un interlocutore privilegiato per aziende che cercavano di passare dalla quantità alla qualità, accompagnandole in un salto culturale prima ancora che enologico.
Negli anni in cui il vino italiano stava ridefinendo la propria identità, Noè ebbe un ruolo chiave nel restituire alla Barbera dignità espressiva. Convinto che il vitigno meritasse una narrazione più precisa e una gestione agronomica più moderna, contribuì allo sviluppo di protocolli che puntavano su basse rese, selezione rigorosa e una maturazione più consapevole.
Non amava parlare di “rivoluzione”, ma i risultati furono esattamente questo: una Barbera profondamente rinnovata, più incisiva, più fine, più capace di incontrare il gusto internazionale senza perdere autenticità.
Una lezione di stile e metodo
La cifra professionale di Noè era la sobrietà. Niente estremismi, nessuna moda passeggera. Il suo approccio era sartoriale: ascolto del territorio, valorizzazione delle differenze, un uso del legno mai invadente.
È anche grazie a questa filosofia che la Barbera ha conquistato negli ultimi anni un posizionamento diverso — non più soltanto vino quotidiano, ma rosso da collezione, protagonista di carte prestigiose e aste specializzate.
Per chi lo ha affiancato in cantina, Noè rimarrà l’uomo delle mezzetinte: pacato, ironico, dotato di quell’autorità silenziosa che non ha bisogno di alzare la voce. Per chi lo ha studiato da lontano, rimarrà l’enologo che ha dimostrato come la grandezza non sia sempre una questione di innovazioni clamorose, ma di coerenza.
Con la sua scomparsa si chiude una stagione importante dell’enologia piemontese. Ma l’impronta che lascia è nitida: una Barbera finalmente consapevole del proprio valore, un territorio che parla con una voce più sicura, e una generazione di produttori che deve anche a lui il coraggio di aver intrapreso un percorso di qualità.
Per chi ama il vino, Giuliano Noè non è stato solo un tecnico: è stato un interprete del Piemonte più autentico — quello che cresce lentamente, senza enfasi, e poi sorprende.

