Secondo i dati aggiornati al 31 maggio 2025 dai Registri Telematici dell’Olio (RTO), il settore oleario italiano sta attraversando una fase critica: solo il 45,9% dell’olio extravergine di oliva presente sul mercato nazionale proviene da olive coltivate in Italia. Il resto, oltre il 54%, è ottenuto da olive o oli importati da altri Paesi, in particolare dalla Spagna, dalla Grecia e dal Nord Africa.
Questa tendenza evidenzia una crescente dipendenza dell’Italia dalle produzioni estere, nonostante il nostro Paese sia storicamente riconosciuto come uno dei principali produttori mondiali di olio extravergine di qualità.
La riduzione della produzione nazionale è dovuta a una combinazione di fattori: cambiamenti climatici, fitopatie come la Xylella, costi di produzione elevati, calo della redditività per gli olivicoltori e mancato ricambio generazionale. A ciò si aggiungono politiche agricole spesso poco incisive nel sostenere la filiera olivicola nazionale.
Molti produttori italiani faticano a competere con i prezzi più bassi dell’olio importato, che spesso arriva sul mercato con costi inferiori ma senza garantire gli stessi standard qualitativi e tracciabilità delle produzioni italiane.
Il rischio per il Made in Italy
L’aumento dell’olio straniero sul mercato italiano può generare confusione nei consumatori, che non sempre sono in grado di distinguere tra un prodotto realmente italiano e uno soltanto confezionato in Italia. La dicitura “miscela di oli comunitari o extracomunitari” è presente sulle etichette, ma spesso in modo poco visibile.
Questo fenomeno mina la valorizzazione dell’autentico Made in Italy e mette in difficoltà le aziende che puntano sulla qualità, sulla filiera corta e sulla tracciabilità.
Per contrastare questa tendenza, le associazioni di categoria chiedono maggiori controlli sull’origine delle materie prime, incentivi per il rilancio dell’olivicoltura italiana e campagne di comunicazione per sensibilizzare i consumatori all’acquisto consapevole.
Alcuni territori stanno reagendo con successo, puntando su produzioni certificate DOP e IGP, filiere corte, oleoturismo e tecniche agricole sostenibili. Tuttavia, senza un intervento strutturale a livello nazionale, il rischio è che l’Italia perda progressivamente la propria leadership nel settore dell’olio extravergine di oliva.