Nel nell’estate italiana, tra colline di vigneti e piazze di paese, si muove silenziosa ma costante una nuova forma di viaggio: il turismo gastronomico. È un’Italia che si racconta attraverso i suoi sapori, i suoi prodotti tipici, le tradizioni culinarie tramandate di generazione in generazione. Non si tratta di una moda passeggera, ma di un trend strutturale, che anno dopo anno guadagna spazio e consenso, spinto dal desiderio crescente di esperienze autentiche e radicate nei territori.
Secondo le ultime rilevazioni dell’Osservatorio Nazionale del Turismo Enogastronomico e di Isnart-Unioncamere, sono le sagre e le feste popolari a guidare le scelte di viaggio legate al cibo: ben il 27% degli italiani ha partecipato almeno a un evento di questo tipo nell’ultimo anno. Non si tratta solo di occasioni conviviali, ma di vere e proprie manifestazioni culturali, dove la cucina locale diventa strumento di coesione e identità.
Dalle fiere del tartufo in Piemonte alle sagre del pesce sulla costa ligure, passando per le celebrazioni dedicate all’olio, al vino e ai formaggi in Toscana e Umbria, queste iniziative non solo valorizzano il patrimonio gastronomico, ma generano indotto e turismo, anche in aree meno battute dai grandi flussi.
Food tour ed esperienze immersive: un turismo che cambia passo
Accanto alle sagre, cresce il turismo enogastronomico esperienziale, con un incremento dell’8% registrato nel 2023. Le richieste vanno dai tour guidati tra cantine e frantoi alle lezioni di cucina tradizionale, fino alle esperienze più raffinate come le degustazioni verticali o le cene in vigna.
La domanda si fa sempre più selettiva e consapevole: il viaggiatore cerca storie, relazioni, contesto. Non più solo piatti da assaggiare, ma conoscenze da portare con sé. Il Centro e il Nord Italia — in particolare Toscana, Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto — offrono oggi modelli di accoglienza integrata che coniugano cibo, paesaggio e cultura in un’unica narrazione coerente.
Il Sud si rilancia: tra tipicità e rigenerazione territoriale
Anche il Sud, tradizionalmente più penalizzato da infrastrutture e stagionalità, sta recuperando terreno. In Puglia, Sicilia e Campania crescono i progetti di turismo rurale legati al cibo, con un’attenzione nuova verso le filiere corte, i prodotti identitari e le comunità locali. Il cibo, in questo contesto, diventa leva di rigenerazione, strumento per riportare vita e valore nelle aree interne.
Secondo il rapporto curato da Roberta Garibaldi, l’85% dei turisti considera l’offerta gastronomica come elemento centrale nella scelta della destinazione. È un dato che impone riflessioni strategiche, ma offre anche straordinarie opportunità per un paese che custodisce oltre 5.000 prodotti agroalimentari tradizionali, decine di DOP e IGP, e una biodiversità senza eguali in Europa.
La sfida della qualità e dell’accoglienza diffusa
Il potenziale del turismo gastronomico italiano è evidente, ma non privo di insidie. A fronte di una domanda crescente, resta necessario investire in professionalità, comunicazione e coordinamento. Occorre superare la frammentazione dell’offerta, valorizzare le buone pratiche esistenti e costruire reti tra produttori, operatori turistici e istituzioni locali.
Perché l’Italia del gusto non è solo una cartolina da vendere: è un patrimonio vivo, fatto di gesti, saperi, biodiversità e relazioni. E come tale, va custodito con visione e responsabilità.