Nel cuore dell’Astigiano, tra le colline della Barbera, c’è un museo che non nasce da un’esigenza turistica, ma da un’urgenza del cuore. “Il risveglio del ceppo”, questo il nome del progetto, è più di una mostra: è la narrazione profonda di un paesaggio e delle sue radici, in senso letterale e simbolico. L’idea è di Enzo Gerbi e Monica Meneghelli, ma la le creazioni sono di Ezio Ferraris, artista autodidatta e raccoglitore di anime vegetali.
Ferraris, piemontese di Castelnuovo Calcea, ha trascorso oltre cinquant’anni nella ricerca di immagini nascoste dentro la natura, tra i ceppi di vite estirpati, testimoni silenziosi di una storia rurale che rischiava di scomparire. “È cominciato tutto a 12 anni – racconta – quando aiutando mio padre a togliere una vecchia vigna, trovai nelle radici delle forme che parlavano, che sembravano voler dire qualcosa”. Da allora, migliaia di ceppi osservati, selezionati, e una vita passata a cercare, con pazienza e ostinazione, quelle immagini inconsce che la natura ha scolpito con vento, tempo e silenzio.
In una delle sale del museo alla Cantina Barbera dei sei Castelli, una vite spalanca una bocca nodosa in un grido. È il grido della natura, opera-simbolo di Ferraris: “Una denuncia delle malefatte umane e della sofferenza inflitta alla terra”. Poco più in là, Homo homini lupus quo curris: una radice contorta, feroce, che interroga sull’aggressività dell’uomo verso l’altro uomo. “La risposta? La collaborazione. L’unica via per una società migliore”, afferma l’artista.
Il museo è nato nel luogo stesso dove questi ceppi sono stati raccolti: un’antica cantina riqualificata, a 700 metri da casa sua. Un ritorno alle origini, ma anche un rilancio verso il futuro. “Qui il terreno parla con me – dice Ferraris – e io parlo con lui. Non ho mai voluto manipolare nulla: interpreto soltanto quello che la natura mi ha regalato”.
Ferraris ha esposto per anni anche fuori dalla sua terra, come al castello di Grinzane Cavour. Ma oggi sente che è arrivato il momento di radicare questa memoria nel suo luogo di origine, offrendo al visitatore un viaggio attraverso la storia agricola, la resilienza e la bellezza organica. Un’esperienza educativa, oltre che estetica.
Il risveglio del ceppo è un museo, ma anche una dichiarazione d’intenti: salvare i valori della cultura contadina, trasmettere la bellezza silenziosa e spontanea della natura, risvegliare nelle nuove generazioni la coscienza del tempo, del lavoro, della terra.
“Mi ispiro a Gibran – conclude Ferraris – Viviamo solo per scoprire nuova bellezza. Tutto il resto è una forma d’attesa. E se una sola persona, tra cento, si ferma davanti a un ceppo e sente qualcosa, allora ho fatto bene a non fermarmi.”