L’UNESCO ha ufficialmente espresso un parere tecnico favorevole alla candidatura della cucina italiana come patrimonio immateriale dell’umanità.
Il dossier — intitolato “La cucina italiana tra sostenibilità e diversità bioculturale” — è stato giudicato coerente con gli obiettivi della Convenzione UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale.
Questo riconoscimento tecnico rappresenta un passo fondamentale: solo se il comitato intergovernativo confermerà l’esito nella riunione di New Delhi (8-13 dicembre 2025), la cucina italiana otterrà il titolo definitivo.
La candidatura non riguarda singoli piatti, ricette o prodotti tipici, ma l’intero sistema culinario italiano come modello culturale vivo: un insieme di pratiche sociali, riti, gestualità, scelte alimentari consapevoli, convivialità e trasmissione di saperi tra generazioni.
Come spiegano i curatori del dossier, la cucina italiana è “un rito che appartiene a tutti noi”: non un semplice atto gastronomico, ma un momento identitario di comunità che unisce territori, biodiversità, famiglia e tradizione.
Se la candidatura fosse approvata a dicembre, l’Italia farebbe la storia: la cucina italiana diventerebbe la prima cucina nazionale al mondo ad essere riconosciuta come patrimonio immateriale nella sua interezza.
Finora, l’UNESCO aveva riconosciuto alcune tradizioni gastronomiche: la cucina francese (nel 2010), la tradizione culinaria del Giappone (washoku, 2013), la cucina tradizionale del Michoacán in Messico e il rito del kimjang in Corea del Sud.
L’ingresso della cucina italiana nella lista rafforzerebbe ulteriormente la posizione dell’Italia tra i Paesi con il maggior numero di riconoscimenti UNESCO — non solo per i siti materiali, ma anche per le tradizioni immateriali legate al cibo.
Nonostante il via libera tecnico, la decisione finale — politica — è tutt’altro che scontata. Il voto spetta al comitato intergovernativo, composto da rappresentanti di diversi Paesi, alcune delle quali già titolari di riconoscimenti analoghi.
Nel contesto internazionale, bisognerà bilanciare suggestioni nazionalistiche, rispetto per la diversità e l’universalità del valore culturale del cibo. Inoltre, la candidatura dovrà dimostrare di non essere un’operazione simbolica, ma una tutela reale di consuetudini e tradizioni diffuse, accessibili e condivisibili.
Questa candidatura offre all’Italia — e al mondo — un motivo per riflettere su cosa significhi realmente “cucina autentica”: non solo ricette, ingredienti o piatti iconici, ma memoria collettiva, legame con il territorio, convivialità e trasmissione intergenerazionale.
Se la decisione finale dell’UNESCO sarà positiva, la cucina italiana non sarà celebrata solo per la pasta o la pizza, ma come espressione di civiltà, territorio, identità e comunità.
In vista del voto imminente a New Delhi, l’intero Paese — e con esso la comunità globale degli amanti dell’Italia — attende: per scoprire se la “tavola” italiana entrerà davvero nell’“Olimpo” del patrimonio immateriale mondiale.

