L’ultimo report firmato da Federvini evidenzia una battuta d’arresto per l’export di vini e alcolici italiani negli Stati Uniti: secondo il quotidiano che ha rilanciato i dati, il comparto del vino chiude il periodo Usa con un calo del 4,8% a valore, mentre gli spiriti segnano un -5%. Questa tendenza conferma un trend cominciato in estate: alcuni cali così marcati — anche fino al 30% per taluni periodi rispetto all’anno precedente — sono stati in parte provocati dall’introduzione di dazi Usa al 15%.
Una frenata che pesa — ma il sistema non crolla
- Le esportazioni di vino italiano verso gli Stati Uniti, un tempo traino del settore, hanno mostrato nei mesi estivi 2025 un calo a doppia cifra: ad agosto, primo mese con i dazi in vigore, si registra un -30% su agosto 2024.
- Anche i dati aggregati del 2025 danno un segno negativo: rispetto al 2024, il valore complessivo dell’export vino si attesta su -1,9% entro agosto, con un calo dei volumi pari al -2,9%.
- Tuttavia — argomenta Federvini — l’Italia non è spacciata: il calo negli USA è parziale, e il sistema agro-alimentare tutto è forte abbastanza da resistere. Il richiamo all’“Italia che tiene” invita a guardare oltre un mercato singolo.
Anche se gli Stati Uniti restano un mercato chiave, la contrazione lì registrata stimola produttori ed esportatori a guardare altrove. Alcuni segnali di attenzione mostrano come il settore stia puntando su mercati in crescita, diversificando flussi e partner commerciali.
Inoltre, non tutte le tipologie di vino soffrono allo stesso modo. Per esempio, secondo alcune analisi recenti, gli spumanti — e in particolare quelli di fascia alta — sembrano meglio resistere rispetto ai vini fermi tradizionali.
Federvini: tra preoccupazione e strategia
Per il Presidente di Federvini l’introduzione dei dazi dagli Stati Uniti rappresenta «un grave passo indietro nei principi di libero scambio internazionale», con effetti “particolarmente dannosi” sul tessuto produttivo nazionale: si parla di migliaia di imprese e centinaia di migliaia di lavoratori coinvolti lungo l’intera filiera.
Allo stesso tempo, la Federazione sottolinea la capacità di resistenza del Made in Italy e la necessità di “ragionare su scala globale”, per controbilanciare la debolezza sul mercato statunitense con nuove opportunità altrove.
Il dato che emerge è duplice: sì, l’effetto dazi — unito al calo dei consumi negli Stati Uniti e al cambio sfavorevole — ha dato un colpo importante all’export di vino e spiriti: alcune fasce registrano perdite significative. Ma l’“Italia che esporta” non è in ginocchio. Grazie alla forza del sistema produttivo, alla diversificazione dei mercati e a comparti meno colpiti come gli spumanti, il settore può sperare in una tenuta complessiva.

