Segnali contrastanti dai mercati internazionali per l’olio d’oliva italiano: i volumi esportati crescono nei primi tre mesi del 2025, ma il valore complessivo delle vendite all’estero registra una flessione. Un dato che impone una riflessione sulle strategie di posizionamento del prodotto simbolo del made in Italy agroalimentare.
Nel primo trimestre del 2025, le esportazioni italiane di olio d’oliva hanno fatto registrare un incremento dell’8% in volume, a fronte però di un calo del 4% in valore rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In sostanza, si esporta di più, ma si incassa meno.
Un andamento che riflette un contesto globale in mutamento, dove la concorrenza si fa sempre più agguerrita e le dinamiche di prezzo impongono scelte spesso orientate al compromesso tra quantità e qualità percepita.
Gli Stati Uniti si confermano primo mercato di sbocco per l’extravergine italiano, pur mostrando un lieve calo sia sul fronte dei volumi sia su quello dei ricavi. Più vivace la domanda proveniente dalla Germania, dove le importazioni sono cresciute del 10% in quantità, accompagnate tuttavia da una riduzione del prezzo medio pagato al litro.
Anche Canada, Francia, Giappone e Regno Unito mantengono una domanda solida, ma mostrano segnali analoghi: i volumi aumentano, ma a condizioni economiche meno favorevoli per i produttori italiani.
Le cause del calo del valore medio
La flessione del valore medio per litro esportato può essere attribuita a una molteplicità di fattori:
- Una campagna olearia più abbondante, grazie a condizioni climatiche più favorevoli rispetto al 2023, che ha determinato un incremento dell’offerta interna.
- La crescente competitività internazionale, in particolare da parte della Spagna, leader mondiale in termini di quantità, e della Grecia, forte di un’immagine legata alla qualità.
- Scelte commerciali di alcune aziende italiane, orientate ad aggredire fasce di mercato più ampie, anche a costo di comprimere i margini e di ridurre il focus sul posizionamento premium.
La produzione nazionale, dopo la crisi produttiva del 2023, mostra segnali di ripresa. Le regioni meridionali, in particolare Puglia e Sicilia, hanno beneficiato di un’annata agronomicamente favorevole, con rese soddisfacenti e buona qualità organolettica. Più complessa la situazione nel Centro-Nord, dove fenomeni climatici estremi — tra alluvioni e siccità improvvise — hanno inciso negativamente.
Di fronte a una crescente pressione concorrenziale e a una dinamica di mercato che tende a premiare il prezzo più che l’origine, il comparto italiano è chiamato a un salto strategico. L’autenticità, la tracciabilità e l’identità territoriale dell’olio extravergine italiano restano asset fondamentali, ma richiedono un maggiore sforzo di sistema, sia in termini di comunicazione che di valorizzazione.
Sarà cruciale investire in promozione internazionale, rafforzare le certificazioni DOP e IGP, e puntare su modelli produttivi sostenibili, capaci di coniugare qualità e quantità.