Un cambio di paradigma silenzioso, ma dirompente, sta attraversando il panorama olivicolo italiano: la Toscana ha superato la Puglia nella produzione di olio extravergine d’oliva certificato. A confermarlo sono gli ultimi dati del Ministero dell’Agricoltura, che rivelano un sorpasso impensabile fino a pochi anni fa, almeno sul piano della qualità riconosciuta da marchi DOP e IGP.
Numeri che raccontano un’evoluzione
L’IGP “Olio Toscano” ha raggiunto nell’ultimo anno livelli di certificazione mai registrati prima, segnando un momento storico per la regione. Al contrario, in Puglia — pur rimanendo leader assoluta nella produzione complessiva — il peso specifico dell’olio certificato appare in calo, almeno nei circuiti ufficiali.
Questo scarto tra quantità prodotta e qualità certificata pone interrogativi rilevanti: cosa significa oggi essere grandi produttori se l’olio, pur eccellente, non entra nei percorsi di tracciabilità e riconoscibilità internazionale?
In Toscana, il modello produttivo si fonda su un tessuto imprenditoriale diffuso, fatto di aziende medio-piccole, spesso a conduzione familiare, che puntano su identità territoriale, narrazione e certificazione. È una filiera coesa, che ha saputo fare sistema e comunicare un’immagine di eccellenza all’estero.
Non a caso, l’olio toscano è oggi tra i più richiesti nei mercati premium di Stati Uniti, Germania e Giappone, dove il legame tra prodotto e territorio viene premiato non solo in termini economici, ma anche simbolici.
Il peso della Xylella e il nodo della valorizzazione
La Puglia, invece, si trova ancora a fare i conti con la devastazione provocata dalla Xylella fastidiosa, che ha compromesso in particolare l’area del Salento. Centinaia di migliaia di ulivi secolari sono andati perduti, con effetti a lungo termine sulla produzione locale.
Ma il nodo centrale rimane quello della valorizzazione: molte aziende pugliesi, pur producendo oli di altissima qualità, non accedono ai percorsi DOP o IGP, spesso per motivi burocratici, economici o culturali. Un ritardo che oggi presenta il conto.
Eppure i segnali di risveglio non mancano. La Puglia sta investendo in nuovi consorzi, ammodernamento degli impianti e valorizzazione delle denominazioni storiche come Terra di Bari e Terra d’Otranto. La sfida, ora, è trasformare la quantità in valore riconosciuto, intercettando quella fascia di consumatori — sempre più ampia — disposta a premiare la qualità certificata.
Il sorpasso toscano non è solo una questione di numeri, ma il sintomo di un cambio di passo culturale. Un invito, forse, a riconsiderare cosa significhi oggi “fare olio” in Italia: non solo produrre, ma raccontare, proteggere, certificare. E costruire, attorno a una bottiglia, un’identità che il mondo riconosca e scelga.